Complice la crisi economica, e la conseguente moltitudine di disoccupati, sempre più persone con disabilità decidono di andare a cercare lavoro all’estero, nella speranza di trovare città più accessibili e aiuti più concreti. Poiché nei sistemi dei vari Paesi dell’Unione Europea manca una parificazione delle procedure di accertamento dell’invalidità, l’inserimento lavorativo all’estero richiede un adeguamento alla normativa vigente nel singolo Paese di destinazione.
Lavoro all’estero per disabili
Nell’UE coesistono diversi sistemi finalizzati al collocamento delle persone con disabilità. In alcuni Paesi, come Francia, Spagna e Germania, vige una normativa simile a quella prevista dalla nostra Legge 68/99, che impone l’obbligo di assunzione di una certa quota di persone disabili in base al numero di lavoratori impiegati all’interno di un’azienda. Accanto alle quote obbligatorie, questi Paesi abbinano delle misure di sostegno del cosiddetto “lavoro protetto”, ovvero dei percorsi facilitati per l’inserimento lavorativo attraverso vari strumenti, che si differenziano in ogni Paese. Grazie a queste politiche, le aziende che, per vari motivi, non riescono ad aderire all’obbligo di assunzione, possono commissionare il lavoro a soggetti esterni che impiegano lavoratori disabili.
Altri Paesi, tra cui l’Olanda, l’Irlanda e il Regno Unito, non prevedono alcuna quota obbligatoria. Nello specifico, il Regno Unito, che in passato possedeva un sistema di quote d’obbligo poi abbandonato, ha messo in atto nel 2010 una normativa antidiscriminatoria chiamata “Equality Act” con l’intento di garantire pari opportunità a tutti gli individui in ogni ambito della vita, compreso l’inserimento al lavoro.
Lavorare all’estero: sistemi a confronto
Pur rimanendo diffuso, il sistema delle quote d’obbligo ha mostrato finora molti limiti nel garantire il successo nel collocamento lavorativo dei disabili. Ciò ha spinto molti Paesi ad abbandonarlo a favore di politiche che mirano ad una totale integrazione di tutte le persone, incluse quelle con disabilità, non solo nel mondo del lavoro, ma nella società in generale. Abbiamo visto l’esempio del Regno Unito dove, soprattutto in Gran Bretagna, si riscontra uno dei più alti tassi di occupazione, nonostante l’istituto delle assunzioni obbligatorie sia stato abolito ormai da tempo. Un altro Paese che vanta uno dei migliori tassi di occupazione dei lavoratori diversamente abili, oltre che un livello elevatissimo di accessibilità, è la Finlandia, dove non esiste una particolare giurisdizione che obblighi le aziende ad assumere i disabili, sebbene rimangano dei vincoli in termini di formazione, adeguamento dei servizi ed incentivi alle imprese.
Le politiche di collocamento mirato hanno tuttavia rilevanza in alcune nazioni per tipi specifici di disabilità: in Germania e in Spagna, ad esempio, il lavoro protetto è particolarmente utilizzato con i disabili psichici; in Francia il mercato “protetto”, che consente di beneficiare di vantaggi per trovare un lavoro o per mantenerlo, è affiancato da un sistema di incentivazione finalizzato a ricollocare il lavoratore disabile nel mercato principale.
In Italia, molte persone con disabilità riscontrano ancora grandi difficoltà sia a trovare lavoro una volta terminato il percorso formativo, sia a conservarlo, ragione che spinge molti di loro a cercare opportunità di lavoro all’estero.
Collocamento disabili all’estero: cosa fare
In virtù del fatto che ogni Paese possiede un’impostazione diversa in merito al collocamento delle persone con disabilità, l’italiano iscritto nelle liste delle categorie protette che voglia cercare e trovare lavoro all’estero, usufruendo del collocamento obbligatorio in un Paese dell’Unione Europea, dovrà necessariamente munirsi della documentazione richiesta dallo Stato prescelto. Da ciò ne deriva che il certificato di invalidità rilasciato in Italia non ha valore per il collocamento all’estero e che l’interessato dovrà sottoporsi alle procedure di riconoscimento dell’invalidità richieste dal Paese in cui ha intenzione di trasferirsi, se vuole godere dei benefici previsti.
Quindi, oltre a reperire quante più informazioni possibili sulle tradizioni, le abitudini del luogo, il costo della vita, ecc. e ad imparare la lingua locale, è essenziale informarsi in modo approfondito sulle misure previste dal Paese di destinazione per il collocamento delle persone con disabilità e sulle pratiche da richiedere una volta in loco.
I disabili che cercano delle opportunità di lavoro all’estero devono tenere presente che le tutele riservate in Italia agli invalidi in termini di inserimento lavorativo, oltre che di prestazioni di natura assistenziale, non vengono automaticamente riconosciute all’estero. La normativa comunitaria sancisce che i sussidi di natura assistenziale non possano essere esportati. Ciò comporta l’impossibilità di percepire la pensione sociale, l’assegno di invalidità o quello di inabilità come pure l’indennità di accompagnamento se ci si trasferisce all’estero, poiché si tratta di prestazioni assistenziali destinate ai soli cittadini italiani che risiedono in Italia. In assenza di cambio di residenza, il sussidio verrà accreditato in un istituto bancario italiano fino ad un massimo di permanenza di 6 mesi nel Paese straniero, dopodiché l’INPS sospenderà l’erogazione, salvo “gravi motivi sanitari documentati”.
Conclusioni
Ricapitolando, se state pensando di cercare lavoro all’estero, la prima cosa da fare è informarvi sulle norme specifiche previste dal Paese prescelto in materia di collocamento lavorativo delle persone disabili. Ogni Paese ha sistemi assistenziali diversi, ciò rende necessario informarsi su come funziona l’assistenza sanitaria, su quanto sono accessibili le città e quanta importanza viene data ai disabili e ai loro bisogni.