handy gay

Nasce HandyGay, il primo Coordinamento per i Gay disabili.

Il Manifesto del Coordinamento:

Quando qualcuno mi ha chiesto che motivo c’è di fondare un’associazione di gay disabili, ho subito risposto: ” Lo stesso motivo per cui si sono fondate le associazioni gay”. Non esiste un’unica ragione di fondo, ma diverse: la visibilità, la possibilità di esprimere un punto di vista, la sensibilizzazione ad una problematica che troppo spesso viene vista come secondaria, o addirittura vista come una sorta di optional come è quella dell’amore e della sessualità.

Noi disabili gay siamo catalogati come “diversi” due volte agli occhi della cosiddetta società e quello che a volte fa più male è che proprio quelle persone che lottano per vedere rivendicare i propri sacrosanti diritti di amare e di professare i propri gusti senza alcun pregiudizio, sono in realtà i primi a non capire le esigenze di una persona che, oltre alle difficoltà canoniche di movimento e integrazione, vede negato troppo spesso il diritto ad amare ed essere amato.

La creazione di un’associazione disabili gay, non vuole però cavalcare quegli stereotipi che vogliono l’handicap come l’anticamera del pietismo o dell’autocommiserazione, ma solo favorire una maggiore conoscenza e integrazione tra le persone.

L’emarginazione e il pietismo spesso hanno come radice comune la non conoscenza del problema e la paura di rapportarsi ad esso. E’ vero che la società fa fatica ad accettare quello che non conosce, e questo non capita solo nell’ handicap o nel mondo gay, ma in qualsiasi altra porzione della società stessa che non segue determinati canoni stabiliti dalla comunità.

E’ proprio attraverso la conoscenza che molti pregiudizi e gran parte delle barriere possono crollare. Sono, infatti, in particolar modo le barriere mentali a costituire l’ostacolo più oneroso da scavalcare per un disabile e non solamente quelle architettoniche.

Troppo a lungo i “problemi” legati al mondo dell’handicap sono stati oggetto di studi, ricerche, libri, convegni, ma poi sostanzialmente il tutto si riduce ad una sola grande parola: integrazione.

L’integrazione non deve essere imposta da nessuna delle parti in causa, ma sarebbe necessario che fosse un procedimento spontaneo dei singoli, dettato dalla curiosità di conoscere una persona simile, ma diversa. E credo di non dire un’eresia quando affermando che ognuno è simile, ma diverso da chiunque altro ed è proprio per questo motivo che auspico una maggiore cooperazione tra le varie associazioni gay e non gay sul problema della sensibilizzazione sul problema dell’handicap.

Forse il problema che viene meno affrontato, addirittura troppo spesso negato o non preso per niente in considerazione è quello legato alla sfera dell’affettività-sessualità.

Quello del connubio tra sessualità ed handicap è stato a lungo un tema trascurato per difficoltà importanti, quali l’ignoranza, il rifiuto da parte dai familiari e della società a vedere e di conseguenza affrontare il problema ,il rifiuto a rispondere a specifiche domande sulla sessualità o, ancora peggio, il diffuso pregiudizio che porta ad una difficoltà, o addirittura all’impossibilità, tra le persone cosiddette normali, a legittimare nella vita del disabile la possibilità di esperienze sessuali e relazionali.

Quello che magari manca ad un disabile per sviluppare un concetto di affettività e sessualità sono le occasioni di incontro, di approccio, quella forma di interscambio tra persone che è sicuramente terreno fertile per la nascita di occasioni e affettività.

Se per un disabile “normale” la sessualità è un terreno minato, immaginate cosa sia la sessualità per un disabile gay.

Se la sessualità per un disabile “normale” viene vista come una cosa di cui non parlare, per un ragazzo gay è un argomento tabù, perché va a scontrarsi con ben due forme di intolleranza da parte della società: sessualità-handycap e omosessualità. Pertanto auspico davvero la creazione di attività, iniziative, seminari, punti di incontro, forum, che possano in qualche modo, porre il problema, o meglio gettare l’amo e aspettare che qualcosa si muova, perché credo che solamente in questo modo si possa superare qualsiasi forma di stupida intolleranza, si possano far definitivamente franare le barriere che ancora accecano le menti di molte persone, e soprattutto, credo che sia il modo migliore per permettere agli altri di conoscere la realtà in questione e far capire loro quanto può essere interessante, stimolante e sopratutto “normale” il mondo di un portatore di handicap.